ADESEMPIOPARTIRE

Risposta singola a domande multiple

l'umo renna
Prende il tarallo in mano e lo sbriciola. Lo assaggerà e gli piacerà – soprattutto perché è accompagnato da un bicchiere di vodka – ma prima deve offrirlo alla natura. A tutto ciò che di sacro esiste e anima la taiga nel nord della Mongolia, al confine con la Russia. Anche il tè con latte di renna, che qui si serve aggiungendo sale, è stato offerto al fuoco. E lui, porca miseria, è un essere bellissimo. Vorrei dare un bacio ad ogni ruga del suo volto. Ha 62 anni, ne dimostra 90. È stato il riflesso del sole sulla neve. L’ha invecchiato. Gliel’ha increspata quella pelle. Il freddo, poi, gliel’ha ispessita. Il vento, senza troppe remore, ha concluso l’opera. Gli offro il mio balsamo di tigre, perché tossisce. Lo mette sulle tempie, nella gola. Ha una predilezione per Aldo, lo guarda e sorride con i tre denti che gli rimangono in bocca. Credo che il suo volto occidentale, i suoi colori chiari, così diversi da quelli che conosce lo riempiano di curiosità e allegria.
Per arrivare qui, per conoscere gli tsaatan, una delle ultime comunità al mondo di pastori di renne, abbiamo attraversato l’area protetta Ulaan Tayga. Non esistono strade, solo distese, immense distese di acqua, terra, erba, cavalli, vacche, pecore, yak. Si susseguono dando l’impressione di una ciclicità che si ripete, come se nulla cambiasse davvero. Ma tutto cambia, invece.
Ci sono voluti 3 giorni di strade impervie, sballottamento di cuori e di culi, e poi altri 3 a cavallo ( altri sballottamenti di cuori e culi, tanto che dei nostri corpi, alla fine, riconosciamo ben poco).
Nino e Filomena, con i quali condividiamo questa impagabile avventura, hanno portato i taralli da un forno del molisano e ora insieme a Oghi, nostra indispensabile guida in questi paesaggi mozzafiato, ce li mangiamo.
Ha 10 figli l’uomo rugoso del mio cuor, 2 sono in città; lui in città non ci andrà mai e non vuole avere nulla a che fare col fornellino a gas di Oghi. Ha paura che possa scoppiare da un momento all’altro. Non ha paura invece degli inverni a meno 30 in montagna. Non ha paura della solitudine, della natura quando ferisce la faccia e strattona e tira pugni, e ti ricorda quanto piccolo sei. È già piccolo di statura, non deve fare altri sforzi.
“Grazie di essere qui, avevo voglia di parlare con qualcuno” ci dice.
“ Grazie di essere qui” è la stessa cosa che dico ad Aldo, la mattina che appare nel mio ostello a Ulan Bator.
Cosa saremmo senza amici?
Io non sarei nulla.
Rifletto sull’amico che ho di fianco in quest’ultima parte di viaggio.
È una distesa, come quella che attraversiamo da giorni, della quale in nessun modo posso conoscere i confini e nemmeno cosa si cela al di là delle montagne.
Vogliamo sapere tutto di coloro che amiamo. Ho sentito questo desiderio ripetutamente nel corso della mia vita. Ma poi ho iniziato ad apprezzare il mistero.
Apprezzo l’impossibilità di comprendere appieno la vastità di un altro essere umano.
Voglio, per le persone che amo, la libertà di non farsi riconoscere, di essere in totale mutamento ogni giorno e, soprattutto, di non dovermelo giustificare.
Voglio, per le persone che amo, la libertà del non sapere cosa desiderano e cosa sono.
Di essere confusi e sbagliati e sbigottiti e incapaci di coerenza.
E voglio ricordare di dividere il mio tarallo, metà per me e metà per ringraziare il sacro che è ovunque. Negli occhi di un amico, dentro i quali anche l’uomo renna ha visto cose grandi.