Campagnano di Roma – La Storta
Uno crede, si aspetta, che la penultima tappa, la vigilia dell’arrivo debba essere una passeggiata. Uno pensa che è fatta e basta. Che è tutto passato, che ormai ci sei e che non avrai altri pensieri o altri guai. Io oggi, invece, devo prendere tutte queste supposizione (meglio ancora, auspici) e buttarle nella spazzatura. Ho vissuto un giorno difficile, veramente difficile. Inaspettatamente difficile. Non pensavo potesse succedere, ed è stata una grande lezione. Prima di tutto, dolore fisico. Il piede destro a un pugno di km da Roma sembra non poterne più. Ho vesciche sulle dita e dappertutto, ad ogni passo mi sembra di aprire una ferita, a volte il dolore mi dà la nausea o la pelle d’oca. Ho avuto vesciche sempre, per tutto il cammino, ma le ultime arrivate, piccole, trascurabili, insignificanti, sono state letali. Mi hanno scombussolata un bel po’ e nel bel mezzo di una discesa mi vien da piangere. È la frustrazione e la solita inguaribile, oramai, stanchezza.
Aldo mi guarda preoccupato. Stai molto male eh? Vedo letteralmente le stelle, rispondo. Ma in questi casi bisogna trovare ispirazione dalla natura che è saggezza pura.
Cammini magari per ore all’interno di un bosco folto senza spiragli e poi all’improvviso, dal nulla, un’apertura. Uno squarcio di cielo, un corso d’acqua che ti ricorda all’istante che il bosco non è tutto, che fuori c’è altro.
E quindi traslo questa concetto su di me, ora: il male fisico che sento, sul quale sono totalmente concentrata ahimè, non è tutto, c’è altro. E l’altro oggi sono le canzoni che canto con Aldo, anche se lui sbaglia tutte le parole – non c’è verso che ne sappia una a memoria – e poi c’è Formello e il Signor Napoleone Giuseppe che ci racconta la storia di Nerone, e un albero perfetto nella vastità scarna di un campo, sotto il quale ci riposiamo, mangiando pesche e mandorle.
Aperture. Cercare le aperture e camminare a denti stretti, tra lo spettacolare parco di Veio, che sancisce una delle tappe più belle di sempre. Ma arrivare, concludere la tappa, è solo una delle prove di oggi. Infatti, tutto il gruppetto degli irriducibili: i 4 ragazzi di Milano, Monica e Mosè hanno deciso di proseguire, allungare la tappa e arrivare a Roma in serata.
Aldo ce la farebbe senza problemi, ma io no. Non posso. Non riesco. Di fisico e neanche di testa. Perché mi sono sempre immaginata di arrivare al mattino, alle prime luci, all’inizio del giorno, e perché stamattina non ero pronta a finire, oltre che fisicamente davvero provata. Bisogna arrivare alla fine, dedicando alla fine un tempo giusto, credo. Bisogna dedicare alla fine, il tempo che la fine necessita per finire.
Ma mi sento strana, mi sento quasi a disagio. Ripeto nella mia testa: magari potevo farcela, sarebbe stato bello, tutti lì; e poi magari Aldo si sarebbe sperimentato volentieri in una tappa così lunga. A lui lo dico: vai, se ti senti. Non ti preoccupare, vivitelo, è giusto. Ma Aldo è Aldo. Potrebbe farlo (vorrebbe, ne sono certa), ma sceglie di restare. È così, è lui. Senza farlo pesare, con la sua solita cura, con la sua solita attenzione, con un cuore grande così, a cui voglio profondamente bene.
E pian piano esco da questo bosco di pensieri pesanti e rivedo la luce. E penso che ognuno ha il suo cammino, e il mio non doveva finire oggi. Mi sono ascoltata, e questa è la mia vittoria e ora che ho fatto la pace con me stessa ho il tempo per godere di quell’ansia buona, quel battito leggermente accelerato, quelle farfalle allo stomaco di quando sei innamorata. Lo sono. E ciò di cui sono innamorata è a soli 20 km da me. Tanto ne sono innamorata che domani per arrivarci avrò camminato 654 km, per 29 giorni. Lo sono tanto che anche ora a pensarmi là mi viene da piangere e da ridere insieme. Mi viene da pizzicarmi il braccio per essere certa che sia vero…vero sul serio. Voglio essere certa che una piccola donna, partita da un paesino della bassa parmense, domani in un torrido 10 agosto, con l’ausilio dei suoi soli piedi (di cui uno compromesso), possa essere in grado di attraversare il colonnato di Bernini e condurre tutta sè stessa in piazza San Pietro, cuore della città più bella di questo nostro mondo: Roma.