Gambassi Terme – San Giminiano
La pieve di Santa Maria a Chianni è l’ostello di Gambassi Terme. Si tratta di uno dei monumenti più significativi dell’edilizia romanica valdelsana: 3 navate, 5 absidi, il rivestimento murario in arenaria. La chiesa è spoglia, silenziosa, la luce affusolata, si respirano i secoli.
Questa chiesa mi affascina da morire, soprattutto per il fatto che ci arrivo varcando la porta della stanza adiacente, dove sto cenando con altri pellegrini. Lì, il convivio, le penne al pomodoro e l’arrosto, grande vociare e chiedersi come stanno i piedi; là, a distanza di poco più di un metro, la basilica, senza parole ma zeppa di pensieri e preghiere – chissà in centinaia d’anni quanti pensieri e parole sono stati raccolte tra queste arenarie.
Le chiese, penso, dovrebbero essere sempre adiacenti a luoghi di convivio, a luoghi nei quali si va per placare la fame. Le chiese – i luoghi di culto in generale – penso, dovrebbero placare altri tipi di fame, sennò sono solo posti. Contenitori. Ogni volta che trovo una chiesa chiusa mentre cammino, mi sento stranita. Aperte, dovrebbero essere. Tutto il tempo. Mai chiuse. Cosa te ne fai di una porta chiusa? Ben poco.
Aperte, come il monastero di Bose che arriva dal nulla dietro una curva di collina e propone la stessa crudezza, la stessa sobrietà, la stessa pacatezza di arenaria nuda della Pieve di Santa Maria, con un fonte battesimale attraversato dal rumore di una goccia, mentre un uomo sistema un girasole con una cura, una precisione, quasi si trattasse di vita o di morte (sua e di tutto il genere umano).
C’è scritto di suonare, c’è scritto che saremo accolti indipendentemente dal nostro credo. Ecco. Questo tipo di convivio, questo tipo di fame.
La tappa è di una bellezza da spezzare il cuore: ieri era giallo ocra, oggi sono vigne, nuvole basse, cipressi. Mi fermo ad ogni passo, sento che non ho abbastanza occhi per questo troppo. Cammino su e giù, per salite e discese di colline con la fronte madida e la faccia rossa, ma sono felice.
E senza accorgermene brucio i km: arrivo a San Giminiano prima di mezzogiorno e trovo ospitalità nel convento di Sant’Agostino, e scopro che viene accordata solo a coloro che vanno a Roma. E ancora una volta fatico a interpretare il pensiero che regola una scelta di questo tipo che esclude, ovviamente, la maggior parte dei pellegrini. La strada in compenso è molto democratica, così come la fatica. La sentiamo tutti, allo stesso modo, chi va a Roma e chi non ci va.
È la prima volta che dormo in un convento.
Da qui, il panorama è un incanto. Lo stesso che ho attraversato passo a passo, piano piano, con fatica. Di San Giminiano c’è poco da dire, troppo unica per avere pace. Ci sono turisti dappertutto, e file di persone per accaparrarsi gelati cari come bistecche. Questo posto non me lo posso permettere, ma posso camminare tra le sue strade, tra queste mura antiche e tra tutti i palazzi cristallizzati nell’assetto urbanistico del XIII secolo. Posso farmi ispirare da questo antico così saggio e potente e poi posso concedermi, per lo meno, una cena calorica che possa placare la mia fame -e insomma si torna sempre lì- di viandante.