Il Sud America in questo è stato grande maestro. Viaggi interminabili in autobus, per lo più notturni, temperature folli, disperanti. L’aria condizionata, come nuova selezione naturale: o cedevi all’ibernazione o proseguivi. Eppure, viaggiare in autobus, sebbene faticoso e snervante resta un modalità di movimento che amo perché popolare, economica e sincera. C’è sempre qualcuno che russa, che si lamenta, che mangia. Si scambiano gli umori corporali, non sempre piacevoli, di un’umanità che è arrivata correndo, trafelata, a volte agitata, perché partire costa fatica. L’autobus e i suoi tempi di osservazione lunghi. Tra la Germania e la Repubblica Ceca, ad esempio, quanto verde. E quanti campi in Polonia. Quante distese. Della Svizzera posso dire poco: era notte. Ma il mio autobus partito da Milano Lampugnano alle 21: 30 e arrivato a Varsavia alle 00:40 del giorno dopo è passato anche da lì.
Circa 30 ore considerando la partenza da San Secondo Parmense verso la stazione di Fidenza e il treno per Milano. La sto subendo ancora questa traversata. Forse non ho la stessa tempra di prima.

Piccoli pensieri su Varsavia.
Tre cose voglio dire sulla capitale polacca, prima tappa del mio Parma-Pechino via terra.

La prima è che nel centro di Varsavia, proprio sotto la colonna di Sigismondo, da dove parte il centro storico, c’è un bagno pubblico pulito, nuovo, perfettamente funzionante e gratis. Sembrerà una banalità, ma spesso è richiesto di pagare per espletare le proprie necessità fisiologiche. Il corpo è un tempio ed è sacro. E a me pare che una civiltà che ne garantisce la cura – nelle sue funzioni primarie – anche a chi non ha nulla, anche agli ultimissimi, sia meritevole di plauso.

La seconda riguarda lo spirito. La domenica alle 12:00, infatti, nel parco Lazienki proprio sotto il monumento dedicato a Chopin, viene eseguito un concerto gratuito. Ci sono anche delle sdraio per goderselo meglio.

Il parco, piano piano, si riempie, brulica di gente, ma appena il concerto inizia non si sente volare una mosca. Il pubblico cade in un silenzio tombale e assorto perché ognuno di noi – alberi, insetti e uccelli compresi – ha bisogno di capire che cosa ancora, e di nuovo, Chopin debba dirci. E quella stessa civiltà che poco fa accudiva il corpo e che ora si impegna affinché la bellezza arrivi a tutti, anche agli ultimissimi, rappresenta in toto la mia personale idea di progresso.

Il terzo pensiero riguarda l’identità. Il centro storico di Varsavia ( Stare Miasto), patrimonio dell’Unesco, è stato ricostruito esattamente come prima, dopo gli atroci bombardamenti che in parte lo rasero al suolo, durante la seconda guerra mondiale. Potrebbe sembrare una nota stonata per chi come me, crede nel mutamento continuo delle cose. Eppure, quello che ho sentito passeggiando per la splendida città vecchia è stato: “Neanche questo è bastato. Neanche le bombe ci hanno fatto dimenticare chi e cosa eravamo. Avete devastato: l’abbiamo costruito. Non meglio e nemmeno peggio. Come prima.”

È così anche per noi, a volte.
Ci sono momenti in cui abbiamo semplicemente bisogno di essere ciò che eravamo. Né meglio, né peggio. Solo come prima.
Del museo sull’insurrezione del ghetto di Varsavia mi restano i volti di donne e uomini che giovanissimi pagarono il prezzo più alto per la propria ribellione alla follia nazista. Cunicoli sotterranei claustrofobici, dove ci si aggrappava con le unghie e con i denti agli ultimi brandelli della propria vita e foto di giardini cosparsi di bare, non più di fiori.
