
È il secondo giorno che li vedo.
Avranno dagli 8 ai 15 anni. Ognuno di loro si è scelto un angolo della piazzetta vicino al mio ostello, in via Uus, centro storico di Tallinn. Ognuno di loro è dotato di cavalletto, fogli, colori, pennelli.
Hanno scelto un pezzo di reale e lo riproducono. Quella torre, quella catapecchia sgarruppata che non si capisce come faccia a star su, quella metà di albero in salvo dal supermercato appena più in là. Una sezione di muro, una finestra socchiusa.
Non ho il cuore di chiedergli perché son lì, chi li ha portati o mandati? Se è un compito per la scuola oppure no. Non ho il cuore di spezzare l’incanto, di renderli coscienti del mio occhio che osserva il loro. La solitudine ci vuole quando si crea, non un riflettore puntato. Li lascio in pace questi piccoli Turner, immersi nella loro pittura en plen air, mentre tengono fede all’impegno preso col pezzo di reale che si sono scelti.

Un posto non può esistere e basta. Nella sua oggettività di luogo, dico, non può esistere. Per lo meno quando viene attraversato dall’andare di un viaggiatore.
Se ne hai conosciuto la notte, dovrai avere coscienza anche del giorno. Se lo hai visto con la pioggia, col freddo, dovrai dargli il tempo di splendere, di farti sudare. Ma il viaggiare non è permanere. Delle tante facce, ne vedrai una al massimo due.
In quel breve lasso di tempo, il posto in questione sarà l’inevitabile risultante dello stato d’animo, che tra i tanti, sta avendo la meglio su di te, in quel preciso istante. La ragione non sarà in grado di scindere le due cose. Se per qualche motivo sei spaventato, il posto diventerà spaventoso.
È vero, quindi, ci sei stato in quel luogo, ma non puoi dire di averlo conosciuto. Annusato sì, conosciuto no. Si fa un torto alla sua complessità, altrimenti.
Me lo ripeto il primo giorno a Tallinn, un giorno freddo e desolante, in un ostello dove mi sento estranea. E me lo ripeto finché Tallinn non riprende a splendere infuocando la città vecchia, il suo centro medievale, le guglie delle torri, il parco Kadriorg, il vetro e le ceramiche delle botteghe artigianali nel vicolo di Santa Caterina.

Fa bene ricordare che siamo una porzione di vero, e che a una porzione di vero abbiamo accesso.
E anche che al reale bisogna allenarsi tutti i giorni, osservandolo senza sosta, senza pretese, senza attese, senza giudizio. Come fanno questi giovani artisti, fedeli al pezzo che si sono scelti.

A Helsinki ci passo una giornata. Traghetto di andata e ritorno da Tallinn.
Helsinki massiccia, monumentale in ogni suo angolo.

Quel giorno si sposano tutti. Nella cattedrale cattolica, in quella ortodossa. Straordinaria eleganza. Il vento alza le gonne. Volano i cappelli. L’aria è fredda ma si fa finta che non lo sia.
Nel mercato sul porto cucinano pesce al momento. Un cartoccio di sardine fritte: 9 euro.
I turisti si affannano. Vogliono il loro pezzo di mare take away. Si alzano poco dopo grida stupefatte e di sdegno. Facce incredule, tremendamente offese. Bocca spalancata, occhi sgranati. Un gruppo di gabbiani si è lanciato a picco sul prezioso bottino, depredando i legittimi proprietari.
I gabbiani del porto di Helsinki hanno un feroce attaccamento alla vita.
Mi insegnano ad avere grande cura e attenzione per quello che porto tra le mani. Qualunque sia il contenuto del cartoccio.
