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Risposta singola a domande multiple

NON PUOI ENTRARE. CRONACA DI UN NON AMORE ANNUNCIATO. PANAMA (PARTE PRIMA) PUERTO VIEJO-BOCAS DEL TORO-BOQUETE-PANAMA CITY

PONTILE

Lei non può entrare.

Come?

Non può… Mi dispiace, signorina, non possiamo farla passare.

Perché?

Perché lei deve avere un biglietto di uscita aereo verso il suo Paese di origine.

Ma io nel mio Paese di origine ci torno in dicembre…Mica adesso. Mica da qui. Abbia pazienza, ma non le vede le mie buone intenzioni? Signore, sono di passaggio, guardi il mio passaporto…Quanti timbri, no? Sto scendendo dal Messico. Proseguo poi verso il Sud America.

Deve tornare indietro o comprare il biglietto aereo per l’Italia ora, in questo momento.

Resto impassibile. Gli occhi sento che mi scendono giù fino alle guance, come il più bastonato dei cani.

No. Non lo compro il biglietto.

Allora venga dentro signorina. Le cancelliamo il timbro di uscita dalla Costa Rica.

Per Favore…

Queste sono le regole. Non le faccio io

No certo non le fa lei. Chi le fa?

Come?

Dico, uno che sta viaggiando in lungo e in largo, come fa a entrare a Panama e proseguire, senza doversi comprare un biglietto d’uscita verso il suo Paese? Uno che sta viaggiando in lungo e in largo non se ne va a casa sua, se ne va in lungo in largo, appunto. Mica mi farebbe schifo ritornarci in Italia, che ne ho di motivi per tornare, che ne ho di gente da abbracciare, che ne ho di parmigiano da mangiare, che ne ho di storie da raccontare, che ne ho di divano da divinare, che ne ho di baci da baciare… ma non ora, non adesso, Signore.

E poi tu (scusi se le do del tu, ma non riesco, proprio non riesco a essere formale) mi vuoi rimandare da dove vengo.

Non sai, non lo sai che c’è un’etica del movimento? Non sai che tornare indietro non si può? Mi neghi il futuro del viaggio, mi rimandi nel passato del viaggio, e tutto lo decidi in questo presente di frontiera. Che la frontiera non è un presente di viaggio, è solo un presente di luogo. E’ un luogo fisso la frontiera. E’ una soglia. Fammi passare la soglia. Fammi entrare.

Non li vedi i miei occhi che sembro il più bastonato dei cani?

Non la sai la fatica che ho fatto per lasciare la Costa Rica e la sua Pura, purissima Vida?

E le lacrime a forma di cascata che ho versato.

E le cascate a forma di lacrima che si versano, indipendentemente da me, da centinaia di anni.

Non posso tornare, ho già detto “Vado” e mi è costato un inferno.

L’ho detto, e solo dirlo mi ha fatto un male… un guazzabuglio interiore, un macello, un caos, un dolore…

Ci pensi? con solo la parola tutto questo, immaginati con l’azione. Immaginati lo zaino pronto e io non pronta. E l’abbraccio di tanti verso una, quando gli altri restano e l’una se ne va.

Non farmi tornare in Costa Rica.

Non darmi di nuovo una casa, un posto, un dove, un luogo amico comodo e confortevole.

Non lo vede, non lo sente quanto ho scancherato per andare via? Mi Guardi bene in faccia adesso, dritto nelle lentiggini.

(E scusi se sono tornata alla terza persona, ma proprio non ce la faccio ora a non essere formale)

La legge è questa, Signorina,  in Europa fa quello che vuole, ma qui…

Lo so, ma io non mi fermo, lo giuro. Non voglio vivere a Panama, voglio vivere Panama. Tutto qui.

Un po’ di Panama, pezzettini… quelli che gli altri magari lasciano lì. Pezzettini piccoli. Piccoli pezzettini di poco conto che gli altri sono sazi e hanno mangiato e a te ti restano  i pezzettini – che parola bella pezzettini, no? 

Si segga Signorina. Mi dia il passaporto.

Adesso piango, Signore. Adesso piango tanto da inondarvi l’ufficio. Faccio un pianto cascata di quelli che dicevo prima. Se lo ricorderà quando i fogli e i computer galleggeranno.

E’ una minaccia?

No. Forse un po’. Ma costa cara anche a me cosa crede? Mica mi piace piangere, mi viene sempre un mal di testa maledetto dopo e poi mi si gonfiano gli occhi e respiro male, mi viene il raffreddore. E divento rossa, rossissima. E poi sa cosa succede anche? Mi viene il mal di testa.

Già detto.

Vero.

IL PRIMA PRESENTE FRONTIERA

Puerto Viejo è l’ultimo posto che vedo in Costa Rica.

Puerto Viejo è Caraibi, ma io ci arrivo che già è cominciata la stagione delle piogge, che il cielo le manda giù a secchiate generose, di una generosità che se si vuole ce n’è proprio per tutti di acqua fredda e dura sotto la quale ballare

VISTA VERDE

Non so come, ma la cosa non mi reca particolare afflizione. Mi crogiolo guardando la pioggia. Ahi! mi conosco, e so cosa sta per accadere. Piove, ho lasciato San Jose, mi sento frastornata, ergo ho tutte le scusanti, veramente tutte, per dar docilmente voce al mio Sturm und Drang interiore, senza provare il benché minimo rimorso.. ma, grazie al cielo, c’è Francesco a impedirmelo.

Lui, originario di Roma, in giro qua e là da più di 20 anni, tranquillo, rilassato, proprietario del posto in cui dormo qui – Vista Verde si chiama, di nome e di fatto – Ci mette 2 secondi a stroncare i miei tormenti. Ho sempre apprezzato io, chi mi aiuta ad abbassare quota, a evitare deliri di qualsiasi sorta, chi mi spiazza con un ma che te frega? o anche Non farti carico dei sentimenti altrui o anche sei tu che scegli di soffrire oppure no o anche Tutto molto interessante, ma adesso, Patti, devo andarmene a dormire. Adoro chi semplifica, quando io per natura complico. Adoro chi vince con una briscola di buonsenso, il mio carico di paranoie.

PUERTO VIEJO

In fondo è di questo che parliamo no?

Usa la leggerezza nel sentire, anche quando il sentire è profondo

Anche quando è profondo, sii leggera.

Leggera, leggera, leggera.

Vola via.

Sono cambiata, in fondo. Da quando sono partita, con mio enorme stupore, appena salgo su un autobus, mi siedo, do il mio biglietto e parto, sento che inequivocabilmente sto girando pagina e mi tendo tutta verso il nuovo (il presente presente del viaggio)  Questa del girare pagina, lo so che è un’immagine banale, consunta e forse poco veritiera. Dico poco veritiera perché spesso quando si dice: Sai che c’è? Ho girato pagina.. in realtà ci stiamo raccontando una clamorosa, confortante, insidiosa balla… che fa anche tenerezza, che serve per darci coraggio e auto-censurare l’indole innata e malaticcia che ci porta a sguazzare come anatroccoli scriteriati in quello che si ha, che ci piaccia oppure no. E’ un’operazione  più che problematica nel quotidiano.  Quando non vai in nessun posto, ma sei a casa tua, piena di tracce tue, che hanno forma di costruzioni (mentali e non) che tanto bene hanno occupato spazio (mentale e non), girare la strabenedetta pagina  richieda forza ciclopica.

Quando viaggi e te ne vai è davvero, ogni volta, il primo giorno della tua vita.

Io qui sono solo lo zaino che mi porto dietro. Non ci sono tracce materiali del mio passaggio. Solo affettive, e quanto siano permanenti, quelle affettive, lo decido io e colui, colei, coloro che se lo sono presi, il mio amore e che, regalo impagabile, mi hanno concesso il loro. 

Francesco che tipo che è. Mi piace tanto parlare con lui.

E mi fa bene, anche e soprattutto quando mi scompone come se fossi un lego, quando mi  ammutolisce, quando mi lascia dubbiosa di fronte alle sue battute terribili e glaciali e soprattuto quando cucina i fagiolini con la pancetta di certi toscani che vivono lì e che se la producono da soli (cose che se non fanno piangere, per lo meno, commuovono)

A Francesco rompo due bicchieri e di fronte  alla mia costernazione galattica, lui commenta solo con un laconico

“Oh, Patti, sono solo bicchieri”

Oh Patti, ridimensiona le cose, che se ti fa male anche solo aver rotto un bicchiere, tutto il resto, tutto quello che c’è fuori, dico, cosa ti fa a te?

Eh c’è da pensarci.

Usa la leggerezza nel sentire, anche quando il sentire è profondo

Alla spiaggia di  Manzanilla ci vado in bicicletta…pioviggina e quando ci arrivo, sulla spiaggia, il mare è mosso e c’ è vento. E penso, guardando il mare, che sempre e comunque, in un posto, la differenza la fa il sole.

La differenza, in un posto, la fanno le persone.

Le persone sono il sole di un posto.

Un posto lo ami se ci sono persone di sole.

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IL DOPO PRESENTE FRONTIERA

Sto seduta lì. Nella stanzetta adiacente alla loro. Che freddo che fa. Un ammasso di aria condizionata inumana, spietata.

Come sarà un passaporto nel quale ti cancellano un timbro?

Il mio passaporto che si girano tra le mani, mentre mi fanno aspettare..

Non voglio che cancelliate.

Non voglio, davvero non voglio, che cancelliate la memoria di questo giorno, rimandandomi nel passato del viaggio, in questo difficilissimo presente di frontiera.

Signorina..

Allora per stavolta la facciamo entrare, Signorina.

Davvero? Davvero? Davvero? Grazie, io non so come…

Adesso lei Signorina si compra un biglietto di uscita per il suo Paese appena ne ha le possibilità, perché altrimenti vedrà che avrà problemi in tutte le frontiere. Ci siamo capiti?

Esco esausta da quell’affronto di aria condizionata, traballina sulle gambe, confusa e incredula e infine pronta per offrire i miei occhi all’usuale controllo della retina.

Dice il mio amico Boris, che l’amore, a suo parere, è una faccenda semplice.

Quando cominci a uscire con qualcuno e ti piace anche, ma c’è sempre qualcosa e ti fa incavolare e ti lamenti e non sei soddisfatta, o peggio ancora addolorata…e ci esci ancora è chiaro, perché si sa mai che ti sei sbagliata e invece no, proprio no e chiami il tuo amico (Il tuo Boris) e gli racconti che questa persona ha avuto addirittura il coraggio di dirti e ha addirittura avuto l’ardire di fare e addirittura…Basta no? ti dice il tuo Boris. Non è cosa. Quale ragno stai cercando di cavare dal buco?

L’amore è semplice, va liscio come l’olio, se deve accendersi da tutte e due le parti lo fa, senza grandi giri. Se invece non deve andare non va. E tu puoi spingerla questa macchina senza benzina, o pensare, che in fondo, hai voglia di altro, tipo una bici.

Allora Boris – si vede, no? – questo presente di frontiera non è stato amore.

Cammino sulle strade di Bocas Town, sono sempre ai Caraibi, ma questa volta a Panama.

I miei piedi muovono i primi passi, piano, chiedendo quasi il permesso e mi succede sempre, ogni volta che arrivo in una città nuova.

BOCAS

E’ il primo giorno della mia vita. Di nuovo.

Non so niente di questo posto, non ho un amico. Ma c’è la strada, come sempre. E poi appaiono le persone. E i supermercati e i bar e la musica. E le biciclette e i vestiti e le gambe magre e quelle grasse e la frutta e la verdura. C’è la vita, come sempre.

Sono sola in mezzo alla vita e a volte è una posizione privilegiata, a volte no.

Vivo i Caraibi con molto silenzio. Vedo cose che mi trafiggono di bellezza. La playa estrella, piena di gigantesche stelle marine, mi immergo per vederle bene, con i loro colori aranciati e gialli, alcune aggrappate, altre appoggiate, quasi insicure che quello sia veramente il posto per loro.

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Vedo l’isola di Zapatilla che mi fa pensare tanto a Robinson Crusoe, alla solitudine dentro alla perfezione. All’effetto che fa.

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Vedo i coralli, li vedo di tutti i colori, viola, rossi, blu. E sotto ci sono pietre che ricordano tanto la forma di un cervello e mi viene da pensare che c’è, ci dev’essere una ragione che ha ragione su tutta questa armonia. Che la dirige, che la custodisce, che la tiene in vita.

Non noi. Noi non siamo questa ragione. Basti pensare che al limitare del parco, di questo parco incredibile che coinvolge molte delle isole a Bocas del Toro, gli uomini hanno sradicato l’importantissima mangrovia rossa per costruire un resort.

Commenta la nostra guida “Quello che alla natura togli, la natura ti toglierà

Sulle strade di Bocas town, passeggiano giunoniche mami, con le loro forme burrose e incantevoli, e i fianchi generosi, i glutei vibranti,  le pance accoglienti, le braccia nerborute  e lo sguardo orgoglioso di chi sa di piacere a tutti. E in effetti, per davvero non possono che piacere.

E il paese è tutta una contraddizione, e vicino a un albergo lussuoso ci trovi la baracca fatiscente, quasi improvvisata, una coperta di assi di legno, viti e lamiera, a coprire le spalle e le teste di una famiglia.

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Anche nell’isola di Carenero ho questa impressione. Di baracche, tenute su, credo io, con il solo mastice della speranza, all’interno di veri e propri paradisi. Il mare limpidissimo dei caraibi, la spiaggia bianca che sembra farina, le palme di lato. Un contrasto impossibile. Un pezzo di mondo che è inimmaginabile anche solo pensare quanto possa costare e una baracca, con tutti i crismi della baracca, che molto amabilmente se ne fotte di tutto ciò e ci si mette lei nel posto incredibile, nel modo che può, nel modo che sa: tenuta su dalla sola speranza.

Guardo a lungo i bambini scalzi che si lanciano i cocchi, che corrono mezzi nudi in mare, che puntano col dito verso le scimmie, che vanno a caccia di granchi  (sono nati in questo mese e sono piccolissimi. Non possono smettere di muovere la chela. La chiamo la danza della chela, il movimento è basico e irrefrenabile. E’ la febbre del sabato sera, mi ipnotizza.) Loro, i bambini, dentro la bellezza con il corpo e le mani. La casa cos’è? E’ una scatola nel paradiso, dove si mangia e si dorme, ma tanto, anche se ti impegni, più bella di quello che c’è fuori non la puoi fare, quindi, tutto sommato, va bene così. Va bene scatola.

BOQUETE

Non so se ce la faccio.

A far cosa?

A restare qui, da questa parte di mondo. Sono, all’improvviso…come te lo spiego…rotta. Fracassata. Sto pensando di tornare. Un po’, per riposare, per…un po’.

Puoi farlo. Lo vuoi?

Non so cosa voglio. Sono paralizzata.

Allora stai ferma. Aspetta. Ma trova le forze per andare via di lì

Sì. Prima devo andare da un medico. Devo continuare con la tachipirina che la febbre non mi abbandona da giorni. Prima è iniezione di cortisone e antistaminici per cercare di sgonfiare le punture sul collo, sulla faccia, sulle braccia e sulle gambe, le punture di non so quale insetto, anche se sembrano semplicemente mosquitos. E dopo, solo dopo, è un autobus di 12 ore per Panama City.

Cos’è successo?

E’ successo che qualcosa non ha funzionato.

Sono già stata male da questa parte di mondo.

Sono stata derubata in questa parte di mondo.

Sono stata spaventata in questa parte di mondo.

Eppure mi ha rotto una cosa piccola. Degli insetti.

Piccoli, come pezzettini. Pezzettini che io stesso avevo chiesto alla frontiera. Quelli che nessuno vuole, dicevo.

Piccoli pezzettini di Panama.

Loro me lo avevano detto che non potevo entrare. Loro me lo avevano detto che non era amore.

Ma non è mai il luogo.

Sono io. Panama è fatta di meraviglie. Ma io non ho avuto il mio sole. Atmosferico e umano. E forse nemmeno io sono stata capace di esserlo… sole. E poi mi sono ammalata..

A Panama City cerco una camera solo per me. Voglio-devo-voglio dormire

Hotel Fantasma lo chiamo io, perché non c’è nessuno ed è tutto scalcinato. Con lo stucco in sciopero e uno stile melanconico e vintage. Mi raccontano che è il più vecchio di Panama e un tempo tutte  le grandi personalità passavano da lì. Un tempo, non ora, non con i suoi 22 dollari a notte e i muri che crollano.

Ma quell’atmosfera vecchia Panama è, a suo modo, irresistibile. I tavolini, la  macchina da scrivere, i mosaici, l’ex lusso che spinge, la concretezza dell’oggi che frena, che ricorda, improvvisamente all’anima elegante di questo hotel, che elegante non è più.

fant

E’ lasciato andare.

Ci sto  per due notti. Mi ricorda tanto l’hotel di Shining. Penso molto a come sarebbe tornare. Per poco, per un mese, per ricaricarmi,  per la gente da abbracciare, per il parmigiano da mangiare,  per le storie da raccontare, per il divano da divanare, per i baci da baciare..

Nel frattempo  i soli che ho a casa (dove andiamo chi siamo cosa faremmo senza amici?), rispondono alle mie notti di luna e angoscia.

Come sarebbe tornare?

Cosa devo fare?

Perché mi sento così svuotata? Mi manca la voglia di conoscere. Non sento l’allegria del viaggio. La fame.

Fermati. Riposati. Sospendi il giudizio. Aspetta di guarire.

Ululano lamenti nel mio hotel fantasma e il giorno dopo decido di muovere i miei passi in un ostello con cucina, in un posto dove ci sia gente e dove non mi faccia sussultare ogni minimo sospiro.

Al pomeriggio cammino lungo il Casco Viejo di Panama e…accade l’inaspettato.

L’inaspettato si chiama Plaza de Francia.

PIAZZA

Una piazza, sì…una piazza è l’inaspettato.

Me la studio dall’alto scendendo i gradini, studio i pellicani sugli alberi, il mare a picco sotto. Le bancarelle di artigianato, un gruppo di ragazzi che suonano -adorabilmente male- strumenti a fiato. Le luci confortanti della sera, il tramonto, la pace, i busti di uomini che non conosco, una porta che mi ricorda la Sicilia, l’odore di pesce che arriva dal mare, una pianta abbarbicata su un muro, il caldo sulla schiena, le voci sottovoce.

PIAZZAA

Non so come sia possibile. E se doveva arrivare, non pensavo sarebbe arrivata così.

Ma questa piazza è la mia guarigione in questa parte di viaggio.

Questo è il primo giorno della mia vita.

E’ il giorno in cui comprendo che:

  Non devo dimostrare niente a nessuno.

  Se volessi tornare, e se dovessi tornare, io tornerò, cambiando i miei piani.

 – Finché avrò vita, nessun piano avrà il diritto di non essere scaraventato giù dalla finestra, se non mi equivale più e se la mia felicità se ne è andata altrove.

Ci si salva da soli. Da soli, non c’è niente da fare. Ma in tanti partecipano alla guarigione. Perfino, e non ultime, le piazze.


Canzone consigliata per la lettura: “First day of my life” di Bright Eyes

Note: Non tutto quello che è scritto è stato detto all’ufficiale di frontiera, ma tutto quello che è scritto è stato pensato.