ADESEMPIOPARTIRE

Risposta singola a domande multiple

Nijinsky Novgorod
Inizia così a Nijinsky Novgorod:
Sono seduta nella sala d’aspetto della stazione di Nijinsky Novgorod. È stata la signora dell’ufficio informazioni a dire che dovevo aspettare lì, o almeno così mi è parso di capire, mentre faceva sventolare il mio biglietto e si toccava il petto come a dire: ci penso io a te.
E infatti riappare dopo circa 10 minuti con un signore. Dalla pettorina che indossa capisco che normalmente, tale signore si occupa del servizio disabili e anziani. Lei mi fa segno di seguirlo. Lui non sgancia un sorriso neanche a pagarlo oro. Su e giù per ascensori e alla fine, una volta arrivati al binario, scansa- letteralmente- le persone diligentemente allineate in fila, in attesa di salire. Parla direttamente alla provodnitsa di turno ( una sorta di capo vagone tuttofare che regola e gestisce la vita sul treno), mi indica ripetutamente, lei fa sì con la testa, lui mi fa cenno di seguirlo; si irrita visibilmente per le mie remore – perché passare davanti a tutti non mi piace affatto- e mi porta direttamente alla mia cuccetta, mostrandomi il numero. Se ne va dopo avermi dato una mezza pacca sulla spalla quasi a dire: adesso sei a posto, eh.
La provodnitsa passa 10 minuti dopo la partenza del treno. Mi fa capire che il bollitore è in fondo al vagone a sinistra (samovar si chiama e rifornisce l’acqua calda per tè e cibi liofilizzati. Preziosissimo) e che il bagno è a destra. Due in tutto, per una cinquantina di persone.
Mi guardo intorno: uomini, donne, bambini, anziani, anziane. Lo spaccato più veritiero che si possa immaginare, quanto meno anagraficamente parlando, di una società. La terza classe si sviluppa lungo il corridoio, non ci sono spazi divisori, non c’è un briciolo di privacy. Tutti sanno di tutti, come accade in una piccola comunità. Quindi è evidente ormai che la notizia è girata e si domandano, guardandomi con la faccia a punto di domanda, cosa ci faccia una italyanskiy lì.
transiberiana, terza classe
transiberiana, terza classe
Le due tappe dopo Mosca sono state Nijinsky Novgorod e Kazan, capitale della repubblica russa del Tatarstan. Entrambe mi hanno fatto un gran regalo: la pioggia. L’avversità metereologica mi ha finalmente concesso pace. Senza, non credo sarei riuscita a rallentare, anche se ogni parte del mio corpo e anche della mia testa supplicavano di farlo. Sono state 3 settimane di viaggio intensissime, con spostamenti rapidi, cambi di ostelli continui, notti in treno, notti in autobus e città. Grandi città. Per una come me, che sta bene e si sente a casa nei minuscoli paesini della Patagonia cilena, che avranno cento abitanti se va bene, la città è uno sforzo abnorme.
Nijinsky Novgorod
Nijinsky Novgorod mi concede anche un lungofiume ( quello sul Volga) vuoto, disabitato. Desolato e struggente il chiosco di gelati senza nemmeno un acquirente nel raggio di km. L’erba nella aiuole è bruciata dal sole. Sono grata a questo paesaggio scarno che mi aiuta e decomprimere a svuotare, a concedere respiro a tutta la vita vissuta finora.
I Russi sono un popolo di cuore, generosi, ma privi di smancerie. Ho capito che sorridere a uno sconosciuto/a risulta strano. Ho salutato una signora in un ostello: ha abbassato lo sguardo. Nei negozi non sono cordiali, ma efficienti. Vogliono arrivare al punto della questione e se per arrivarci non c’è bisogno di simulare una gentilezza affettata, perché farlo?
cremlino, kazan
Poi con l’inglese c’è sempre da ridere. Mi è capitata di essere dribblata in maniera davvero talentuosa e creativa mentre, con una cartina in mano, cercavo di intercettare qualche locale. Una volta lontani e finalmente al sicuro mi urlavano: No english! Come se l’inglese fosse qualcosa che io cercassi di vendergli o appioppargli, oppure una malattia contagiosa. Ma poi ci sono altri, che mollano quello che stanno facendo e ti accompagnano direttamente nel posto in cui devi andare. Anche se è lontano e fuori mano. E se gli dici che sei italiana, non possono fare a meno di allargarsi in un sorriso luminoso e farti capire che ci sono stati in Italia. Rome- Florence- Venice. E che è bellissima. E a me un po’ si stringe il cuore, perché è vero, la è.
E vorrei che sempre verso la mia terra ci fosse quell’amore lì e che sempre la mia terra se lo sapesse meritare, perché è l’accoglienza che si ama dell’Italia, le sue braccia forti e aperte, le sue tavole imbandite, che c’è sempre posto per uno in più, anche all’ultimo minuto, anche se non ho la più pallida idea di chi tu sia, vieni, entra, accomodati. Quel calore è nostro, è antico, ci scorre nelle vene. Senza, noi non siamo noi. Non lo possiamo essere più.
kazan
Kazan è una delizia. Una perla circondata d’acqua. Condivide il Volga con Nijinsky Novgorod, ma il suo lungofiume ricorda il lungomare della riviera romagnola. E nel suo Cremlino c’è posto per una Moschea e una chiesa Ortodossa. Non può non piacermi.
Così finisce a Kazan:
Osservano il mio biglietto e fanno no con la testa. E poi lo dicono anche “ Niet”.
Non è quella la stazione da cui parte il mio treno. Si trova dall’altra parte di Kazan. È lontana. Ho meno di 30 minuti per arrivarci. Taxi, mi dicono. Taxi!
La signora dell’ufficio informazioni chiama qualcuno e mi accompagna fuori. Appena usciamo lui è già lì. Parte come una sassata. Mi fa capire il prezzo (ovviamente è un taxista abusivo, e il prezzo è assolutamente arbitrario e ingiusto). Contratto tramite il traduttore automatico. Rifiuta. Non mollo. Intanto guida come un folle, suda, si agita. Capisco che non farmi perdere il treno gli preme, che quasi è una questione di principio e quando appaiono i binari, me li indica con lo stesso entusiasmo che probabilmente doveva aver manifestato, in altri contesti, Amerigo Vespucci.
Si è ammorbidito nel frattempo e chiudiamo a 20 euro ( è comunque una cifra esorbitante. Con un biglietto in terza classe, ci faccio tutta la Siberia). Non appena arriviamo scende con me, si carica inaspettatamente il mio zaino sulle spalle e mi accompagna sul binario.
E anche lui si congeda con una specie di pacca sulle spalle, che sembra in realtà più una spinta. Così la darebbe chi non sa dosare le sue forze, chi non ha “maniere”, delicatezza o chi si appassiona per le imprese altrui ed è contento che ci sia un lieto fine. Alla fine.