“Devi solo confermare… Abbiamo fatto tutto. Il volo è stato pagato. I dati ci sono tutti… Non devi neanche fare una levataccia. Alle 12 da Malpensa…si può fare. E poi hai lo scalo a Monaco. E’ bella Monaco, mi piace sempre tanto. Dai… Conferma”
“Non ce la faccio”
“Sì che ce la fai… Sarà meraviglioso. Sarà un’esperienza incredibile. Devi solo cliccare su Prenota…Clicca”
“Non so perché piango così…Scusa eh. Che cogliona, è una settimana che piango. Mi sento troppo cogliona. Solo che è un’emozione… Mi scoppia il cuore, mi scoppia”
“Tranquilla, non c’è bisogno di scusarsi, lo so da anni che sei una cogliona”
Cretino.(Grazie di essere un cretino).
Resta in silenzio. In attesa. In ascolto.
Questo amico che ho di fianco, anche quando non l’ho di fianco.
E’ la seconda volta che ci vediamo e finisce in lacrime (sempre io, non lui). L’altra volta, al Sushi King, dei pianti mi son fatta tra un maki e l’altro. Robe da matti.
Pensare che siamo due tipi dediti alla gioia, io e lui, che non so dire quanto tempo abbiamo dedicato a ridere. Ma ridere sul serio, mica per finta, mica con poca convinzione, mica ah ah ah ah!
Abbiamo pianto dal ridere, io e lui. Da farci venire i crampi allo stomaco, da dover serrare le gambe per non farcela addosso.
La felicità naturale, semplice. La stupidera.
Ma grazie al cielo, anche il resto.
Anche litigate furibonde. Urla, anche.
Vaffanculo, anche.
Non capisci una fava, anche.
E anche tutto tutto il resto. Le debolezze, gli scoramenti, le fragilità. Quelle cose che uno affida e che l’altro accoglie. L’amicizia, diosanto, è un bene che c’è da mettersi le mani nei capelli, urlare dei grazie con tutto il fiato che si ha in gola e fare dei salti e ballare e ringraziare e ringraziare e ringraziare ancora e celebrarla l’amicizia. Tutti i giorni. Che se non la sai celebrare, cosa sai fare?
Il mio amico, che ha un nome antico, di 4 lettere, conciso fino all’osso, che fa pensare a un navigato oste di trattoria pingue e rubicondo – che ti rimpinzerà fino a farti capitolare – è invece un tipo magro con due occhi alla Peter Pan; ma quanto a mangiare fino a capitolare, questo lo fa, lo giuro.
La giornata è così che inizia, parlando di cibo, senza manco un buongiorno-come va-bene grazie.
“Stasera?”
“Sì. A che ora vengo?”
“20:30. Te lo dico già, cucino una cena per intero. Primo e secondo. Nessun commento, please. ”
Silenzio e poi mi sgancia un “Va bene.”
Normalmente questa è la fase in cui si lamenta: e fai troppo e poi mangio troppo e poi non mi contengo e torno a casa che scoppio e devi cucinare meno, e tutte le volte è la stessa solfa e bla bla bla bla.
Oggi non si lamenta, perché rispetta il valore dei riti.
La cena a base di pesce, che io cucinerò e di vino bianco che lui porterà, ci serve per festeggiare l’inizio concreto del mio viaggio.
Stasera, con lui, compro il biglietto per la prima tappa del mio giro del mondo.
Già da tempo ho capito che questa cosa non l’avrei potuta fare da sola.
Da sola faccio molte cose. Davvero molte.
Da sola ci vivo.
Da sola, spesso, lavoro.
Da sola, sempre, scrivo.
Da sola, mi accollo responsabilità, che a volte vorrei, lo giuro, condividere.
Da sola mi complico la vita.
Da sola cerco di destreggiarmi con la tecnologia.
Da sola fallisco, cercando di destreggiarmi con la tecnologia.
Da sola cammino sopra le colline di Felino.
Da sola compongo le mie canzoni.
Poi ci sono cose che da sola so di non poter fare.
Questa è una. Sapevo che l’avrei fatta con una delle mie persone.
Sapevo che sarebbe stato forte. Che avrebbe avuto un impatto incredibile su di me. Che sarebbe stata la soglia che rendeva il sogno reale. Questo concretizzarsi, di cui ho tanto desiderio e tanta paura. Che lo voglio toccare, strattonare, stringere; ma che anche mi fa scappare a gambe levate.
Questo concretizzarsi che mi dice: “Oh. Qui si smette di scherzare, bella mia. Qui si inizia a fare sul serio”
Questo concretizzarsi che mi parla di stravolgere la mia vita, di dire ciao al mio divano rosso (al mio divano rosso! Capite??!); alla mia sala, dove ho tutti gli oggetti che amo, che riconosco; alle mie abitudini, con le quali prendo il tè verde ogni mattina e che ora mi stanno guardando a punto interrogativo: “Ma quindi davvero te ne vai? Ci lasci qui noialtre?”
Questo concretizzarsi che lo penso da un anno ormai, che non ce la faccio più a pensarlo che lo voglio scritto, su un biglietto aereo, con una data, con un nome, che sia il mio.
Questo voglio.
Eppure…
“Non ce la faccio, davvero. Ma cos’ho? Sembro matta. Non sembro matta?
“Sì…”
“Sono felice, ma mi crolla il mondo addosso. Mi mancherà tutto. Tutti mi mancheranno.”
“Clicca Prenota…Basta un click. Dai, scema.”
“‘Spetta un secondo”
“Va bene”
Non ci siamo arrivati subito a questo punto qui. Prima c’è stato un antipasto, un primo, un secondo, delle verdure. Molto vino c’è stato.
Poi, benché stremati, ci abbiamo messo dentro anche una coppetta di gelato da 2 euro. Quello di Martino, sotto casa. Perché siamo dei campioni.
Infine, ho pensato di risistemare la parete di casa mia.
Ho una serie di foto, una raccolta che ho trovato in qualche mercatino, mesi fa:
“I Grandi fotografi”
Lo so che non è il momento. Ma so anche che è il momento
Cambio la casa, prima di cambiare me.
Cambio la casa, mentre cambio me.
Non è temporeggiare, è che voglio che le pareti stiano al passo.
Che si sentano strane e nuove come mi sento io ora.
Voglio che la casa mi stia vicino.
Oppure, forse, voglio che non mi stia troppo vicino. Va bene se per un attimo non ci riconosciamo. Ci aiuta a dirci arrivederci.
E il mio divano rosso, che regge il peso dei nostri piedi – e di questa serata tutta – mentre scendiamo e saliamo per appenderli, uno ad uno, i grandi fotografi del 900.
Un po’ più a destra… Scendi di un cm…è storta. Sai fare niente. Tu non sai fare niente.
Faccio io. Sì, allora andiamo bene. Man Ray mettilo al posto di Giacomelli. Passami Cartier-Bresson.
Aldo, è questo Cartier-Bresson! Santo cielo, ma io dico…
Salgado lo mettiamo? E Newton? No ti prego. Sta donna è troppo bella, mi mette in soggezione. Sembra neanche vera. A te piace? Sì che mi piace. Va be’ non la metto uguale.
“La compagnia aerea si chiama Condor”
“Già”
“Clicca Patti..”
“Avrò fatto bene, secondo te? Città del Messico…dovevo iniziare da lì forse…Ma Cancun è molto meno cara”
“Inizia da Cancun. Hai tutto il tempo di spostarti”
“Poi magari manco la vedo Città del Messico, che è inquinata e pericolosa”
“Già, così si dice”
“Lo faccio, mi viene da ridere, mi viene da piangere”
“Va bene: ridi e piangi. E parti. E’ la tua avventura. E’ tua.”
15 gennaio.
Milano Malpensa – Monaco – Cancun.
Mi viene da ridere, mi viene da piangere.
Canzone consigliata per la lettura: Amor I love you di Marisa Monte