A 18 anni mi buttavo dai ponti.
Mica sempre. L’ho fatto una volta, per la verità.
120 metri di altezza. 30 metri in caduta libera. Un’eternità, lo giuro.
L’ho fatto allo scoccare della maggiore età, prima non si poteva.
Avrei avuto bisogno del permesso dei miei genitori – che seccatura – e sapevo che l’idea di me, appesa a un elastico – “E che cosa sarebbe poi questo bungee jumping?”- mentre con un salto baldanzoso mi gettavo nel vuoto, non li avrebbe convinti fino in fondo.
“Non lo fai, punto e basta. Hai capito?! Non lo devi fare! NON LO DEVI FARE!”
Mamma, papà, sono maggiorenne ormai. Decido io.
So cosa è giusto per me. Voi lo sapevate fino al mese scorso, ma adesso..altra storia.
“Patrizia sei pronta?”
“Credo di si…”
“Io conterò fino a tre… E al tre ti butti. Hai capito bene?”
“Sì… ho capito bene… L’elastico mi tiene, vero?”
“Sì… ti tiene. Comincio a contare… UNO… DUE…”
Sono nata il 25 agosto del 1979.
Sono felice di non essere una cifra tonda. Sono felice di non essere un 1980, ad esempio.
Mi piace l’altera complessità dei miei numeri dispari. Mi piace la linea secca e precisa del sette, quel suo angolo ottuso circondato delle generose forme del nove. Al nove piace mangiare tortelli e pastasciutta, il sette è vegano.
Sono nata nel segno della vergine che – è vero o no? – nessuno apprezza.
Si tratta di una vera e propria discriminazione astrologica, un clima di terrore che affligge le persone venute al mondo tra il 23 agosto e il 22 settembre; un’insofferenza per niente velata.
Hey voi della Vergine! Siete solo tollerati all’interno di questo zodiaco!
Ma Perché? Cos’è che abbiamo fatto per farci non amare così?
Perché siete tutti puntigliosi e organizzati e precisini. Ci avete rotto.
Io, così, non mi ci sono mai sentita, a dir la verità.
Sempre stata dalla parte del disordine. Schierata proprio. Disordine dentro, fuori, di lato.
E sfidarmi. E mettermi alla prova. E un’inquietudine che di preciso non aveva niente.
A 18 anni mi buttavo dai ponti, ma a quell’età buttarsi dai ponti è il meno.
La vita, lo cominci ad intuire, non arriverà suonando il campanello; più facile che ti investa con l’impeto di un tir innamorato. E anche se sei tutto tumulto e bombe atomiche, ancora non ti sei misurato. Quanto e cosa le tue spalle possano reggere proprio non lo sai.
Riassumendo: hai una discreta, fottuta paura, mascherata da una didascalica, impassibile saggezza.
Non so cosa darei per poter parlare alla me di diciott’anni fa, che indossava pantaloni di velluto a coste e vecchi maglioni riesumati dall’armadio del nonno; e che camminava nei corridoi del liceo con tutta la gravosa (in)consapevolezza del suo quinto anno.
Le direi: Sai molto poco, tesoro. Ma mica è colpa tua. Il fatto è questo: tutto è ancora integro.
Le cose le hai chiare e limpide nella tua testa, ma diosanto, sono tutte teorie.
L’amore, ad esempio, non lo sai ancora. Forse ne conosci il Bignami. Ma quel modo tutto scemo e disperante di essere felice…macchenesai, tesoro?
Per il momento conosci le cose che ti racconti con Chiara alla macchinetta del caffè la mattina, prima dell’ora di matematica o filosofia.
Tu miscela al gusto tè, lei miscela al gusto cappuccino. Quante verità in quei 15 minuti, prima del suono detestabile della campanella.
Vi interrogate su tutto. Che ne sarà di noi?
Affamate di vita e di schiacciatine.
“… L’elastico mi tiene, vero?”
“ Sì… ti tiene. Comincio a contare… UNO … DUE…”
Aspetta. Un attimo solo, aspetta.
Non sono più quella di prima, sono un 2 volte18.
Cioè son sempre io, nata il 25 agosto, nel segno della vergine.
Ma soffro di vertigini ora. Maledettamente!
Lo sanno tutti. Odio le altezze.
“… UNO… DUE…”
Ieri sera, che poi era notte, con alcune (non poche) ciliegie sotto spirito in corpo, le braccia offerte – con remissione, senza nemmeno combattere – alle zanzare, e una cena pantagruelica nello stomaco, io e Andreina, amica cara che non vedevo da un po’, ci interrogavamo.
“Ci torneresti a quell’età, Andre?”
“Con la testa che ho adesso, sì”
Ma non è vero. Lo so io, lo sa lei.
Non ci torneremmo, in nessun modo. Non ne abbiamo voglia, per carità. Che per essere dove siamo adesso, abbiamo pagato con la cosa più preziosa che avevamo: banconote di tempo con tagli di anni, minuti, secondi.
E allora qual è il punto?
Il punto è che pensiamo erroneamente, che i salti nel vuoto risiedano in una dimensione di incoscienza che volenti o nolenti, ormai (maledetto, odioso, ipocrita “ormai”), non ci possiamo più permettere. Che non siamo più capaci.
Ma io credo che non sia così.
Quel salto nel vuoto di tanti anni fa, in realtà, non è stato un atto di spensierata sconsideratezza.
E’ stato, al contrario, la mia iniziazione verso l’età adulta.
Ma non nel momento del lancio, bensì un’ora prima, quando mettevo la mia firma su un foglio.
Dichiaravo di avere cuore, polmoni e ossa forti e di non avere patologie che potessero compromettere la mia salute, o addirittura la mia vita.
Dichiaravo di prendermi tutta la responsabilità di quello che stavo per fare.
Senza questo foglio, maggiorenne o no, il salto me lo potevo scordare.
E per questi 18 anni che sono seguiti, la dinamica è stata sempre la stessa. Ogni salto nel vuoto – ogni nuovo lavoro, amore, amicizia, decisione, cambio radicale, progetto folle – non sarebbe stato possibile se prima non avessi stipulato un patto con me, in cui affermavo: Sono pronta e me ne assumo tutta la responsabilità.
Non è che non siamo più capaci di saltare nel vuoto. E’ che non abbiamo mai smesso.
“TREEEEEEEEE!!!!!”
NOTE
Foto: da uno spettacolo di Pina Bausch
canzone consigliata per la lettura: “Agosto” dei Perturbazione.