Mi sono tagliata i capelli.
Corti, cortissimi. Come un maschio.
Come un bullo con la fionda.
Come uno che sta per farne una grossa (che poi è esattamente quello che sto per fare. Ormai manca poco davvero al mio pronti-via.)
La faccia non è cambiata, direi.
Ma è indubbio: il ciuffo biondo mi stava meglio. Me l’ha confermato anche la Meri.
“La frangetta corta alla Jean Seberg è per poche” mi scrive in un laconico messaggio.
E io non sono fra queste (leggo io, in un laconico sottotesto).
Lo so, hai ragione Meri, ma se non taglio i capelli, se non taglio il cordone, se non taglio le paure, qui non si parte più, cara mia.
Ché tagliare i capelli è, a mio avviso, una condizione psicologica, più che estetica. E’ come dire, ecco, nuova immagine per nuove imprese. Nuova immagine per nuova me.
Siamo tutti dei Sansoni alla rovescia, in fondo. Tagliare ci rinforza.
Sono diverse settimane che non scrivo.
Non potevo: ero ingarbugliata in una matassa di stress e disavventure.
Me ne sono successe di tutti i colori, tanto che a un certo punto sono entrata, a piedi pari, dentro il paradosso. Era tutto di una surrealità magica e impossibile. Più che a Parma, mi sembrava di essere dentro a un quadro di Dalì. E forse, a dire il vero, ci sono ancora. Con gli orologi che si squagliano da tutte le parti e braccia e gambe alla rinfusa e ambientazioni desertiche versus grande casino interiore.
Oggi, però, è il 31 dicembre e ho pensato fosse giusto tirare due somme.
Esco un attimo dal quadro, Dalì, ma occhio, il tempo di un paio d’ore e son di nuovo lì, a cavalcare elefanti con zampe che sembrano stecchini.
Sto pensando a tre cose. Alle persone che amo, all’energia, alla casualità.
Premessa: alla casualità io mica ci credo.
Per me niente è casuale. Per me la casualità non esiste.
Ci sono persone, che appartengono alla mia vita, che “casualmente” ho incontrato, il cui incontro non ha nulla di accidentale o fortuito. Io le dovevo incontrare. Punto. Dovevano arrivare a me. E io a loro. Ancora prima di sceglierci, ancora prima del nostro libero arbitrio, era doveroso occhi negli occhi e mano nella mano: piacere io sono io e tu chi sei?
Ci leggo un disegno nella mia vita che si incrocia con la loro.
Un gran bel disegno. Un disegno che manco Dalì (senza offesa Dalì)
Se dovessi fare una riflessione su quest’ultimo anno, non posso fare a meno di sostenere che l’energia gira. Gira in un modo, santo cielo, che una trottola gira meno.
E siamo sapientemente intrecciati come i fili di una rete. L’energia degli altri ci tocca, ci scombussola, ci apre, ci chiama, ci persuade, ci affascina, ci seduce, ci arma, ci disarma, ci assuefà, ci abbraccia, ci assorbe. L’assorbiamo.
Il cambiamento non coinvolge mai uno solo.
Il mio 2015 parte con una folgorazione: la nascita di Selvaggio, alias Mattia, il figlio di mia cugina Chiara, di cui ho parlato qui.
Quel giorno me lo ricordo bene. Mi ricordo lui appena nato e io che mi innamoravo della sua vita nuova, tutta concentrata in pochi cm di essere umano. Mi ricordo che schiaffone ho preso quel giorno, che esplosione enorme, che bomba a mano d’amore.
L’energia di Chiara e di Mattia mi è arrivata addosso come un treno in corsa, senza investirmi, ma facendomi salire, al volo, dalla mia stazione, dove ero ferma ad aspettare da un po’.
Il mio 2015 si chiude con un’altra folgorazione: la nascita di Diana, la figlia di mia sorella (non di sangue, ma comunque sorella) Manuela.
Quest’anno le due donne che mi sono più vicine, a cui sono legata come una porta alla sua maniglia, le due donne che hanno segnato ogni tappa della mai vita, le due donne che, cascasse il mondo, ci sono sempre state, hanno dato alla luce un figlio. Hanno dato luce. Hanno fatto luce.
All’inizio e alla fine dell’anno. E in mezzo a loro, che mi contengono come una parentesi tonda, che tanto assomiglia a un abbraccio, io ho dato vita al mio sogno, alla mia avventura, al mio viaggio.
Diana è incantevole. Mi ha fatto piangere tanto la sua bellezza.
Gli occhi della Manu li ho guardati bene. Le hanno scattato una foto poco dopo il parto. Ho zoommato e mi sono soffermata qualche minuto. Erano esausti e innamorati, come quelli di Chiara, in ospedale, quasi un anno prima. Gli occhi delle mamme da-poche-ore, ho pensato, sono tutti così,.
Cosa si deve passare prima, per poter tenere tra le braccia ciò che tanto si è atteso?
Quello sì, è un sogno che costa caro, mica il mio.
“Cos’hai sentito Manu?”
“Un dolore…”
“Ma spiegamelo bene…spiegamelo perfettamente”
Mi rendo conto che non lo sa fare, oppure non lo può fare. E’ passato, ora. Ora c’è Diana. Punto.
Tante delle persone che ho vicino, quest’anno hanno “partorito” progetti e idee, di diversa caratura, di diversa entità, di diverse speranze. C’ è stato un movimento collettivo, davvero molto inconsueto. Molto pregante. Molto intenso. Molto potente.
Mia sorella e mio fratello (di sangue, stavolta) sono i primi ad avere iniziato a camminare verso il cambiamento.
Boris, che per tutto il mese di giugno non ho visto, è stato lontano, in una città che lo ha chiamato e lo chiama come le sirene con Ulisse; ma diversamente dalle sirene, quello è un canto buono, il canto di un coro, il canto di un cambiamento.
Chiara (non mia cugina, ma una delle esponenti della chat “QuelleOcheDelleTueAmiche”) si sta cimentando in un master durissimo, il terzo della sua vita, ma stavolta, rispetto alle altre due volte, ha una famiglia e una figlia e deve scendere a nuovi compromessi.
Meri che è sempre in giro per lavoro e vive in aeroporto, cerca pace e una casa. E io dico che avrà entrambe le cose.
Terri, un’omonima, vuole vivere della sua passione per la musica e muove i suoi passi in quella direzione. Vuole cantare la sua gioia. E io credo nel suo canto e io credo nella sua gioia.
Gianpaolo è stato un mese in Africa per fare un documentario, per raccontare cose che accadono lontane da noi. Per assottigliare quella distanza. Perché lontano, cos’è? Vicino, cos’è? Africa cos’è? Parma cos’è? Gianpaolo continua a saltare come un gatto da una storia all’altra, da un continente all’altro, da una vita all’altra. E io da lui ho sempre da imparare..
Francesca ha tra le mani un lavoro che la prosciuga e la inonda e quest’anno ha dovuto affrontare prove durissime. Francesca ha la responsabilità addosso e se la tiene, con un coraggio che è patrimonio di pochi.
Elisa mi racconta di enormi novità sul lago di Como, e ha gli occhi che ridono.
Pietro si è sposato. Il primo di noi. Con Anna si è sposato. E la loro casa ha le pareti rosse e verdi e finestre immense e una cucina davvero di ultima generazione, quasi intelligente e lì, in quella cucina, in quella casa, sono stata accolta e accudita, e ho visto Pietro che era altro da quello che era prima. Con una fede al dito che guardo ancora spalancando la bocca.
E Aldo ha fatto un colloquio, ed è stato scelto, e cambierà lavoro e andrà a vivere a Milano. E tutto questo accadrà il 15 gennaio. Il giorno in cui me ne andrò anche io.
Con un biglietto che ho preso con lui, sul mio divano, qualche mese fa.
Adesso, vi prego, che non mi si venga a parlare di casualità. Che non mi si venga a dire che le energie degli altri sono parallele alle nostre, ma non si incontrano mai. Non c’è una geometria emotiva più triste di questa.
Io credo nelle intersezioni. Intersecare è una così bella parola, per amor del cielo!
Siamo tutti la radice o la potenza di qualcos’altro o di qualcun altro. Numeri primi, no.
Unici sì, ma tutti connessi, interconnessi, allacciati.
Io credo che quanto sia accaduto quest’anno, alle persone che mi stavano vicino, abbia avuto una profonda risonanza in me. E forse io in loro, chissà.
La verità è che io credo che gli altri, tutti gli altri – non solo le persone che conosco e amo e respiro – abbiamo a che fare con me.
E’ girata questa energia. L’ho sentita, l’ho ascoltata, l’ho accolta.
Mi sono fatta illuminare dai sogni e dalle speranze di tutti e lì, in mezzo, ho consegnato anche il mio sogno, la mia speranza.
C’ è stato un movimento collettivo, davvero molto inconsueto (oppure normale, necessario, ovvio). Molto pregante. Molto intenso. Molto potente.
Una potenza che mi ha commosso, che mi ha stregato e che sento di dover ringraziare.
Mi sono tagliata i capelli, corti, da maschio, come un bullo con la fionda che ha voglia di farne una grossa. Ed è esattamente quello che sto per fare.
Me li sono tagliata per chiudere e iniziare.
Per avere un prima e un dopo.
Ma l’energia che ho intorno, quella luce lì, quella non la taglio. Quella me la tengo stretta, come il più prezioso e il più caro dei regali.
Me la porto via, tutta intera com’è. Dentro il mio zaino. Sull’aereo a Malpensa.
E’ il patrimonio, in continua evoluzione, di coloro che amo. E sono tanti quelli che amo.
Per cui mi viene da dire, alle soglie del 2016, che se c’è una persona fortunata in questo mondo, quella sono io.
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Canzone consigliata per la lettura: “Cuccurucucù” di F. Battiato