San Secondo Parmense – Medesano
Prima di partire, io non ho mai voglia di partire. Io ho voglia di tutto tranne che partire. Prima di partire, prima dell’avventura, mi sento un nodo, ma un nodo… Mica solo alla gola. Allo stomaco. Alla testa. Alle gambe. Al cuore, lo sento. Quindi, a questo punto, sarebbe corretto usare il plurale: prima di partire io sono nodi. Annodata tutta. Libera, no. Io non parto mai liscia come l’acqua, per dire. Mai. Anche stamattina ho pensato: ahi ahi ahi… nodi in arrivo, ragazza. Ma poi mi sono vestita, mi sono preparata un panino al prosciutto, ho tagliato un pezzetto di parmigiano e in pochi minuti erano già tutti lì: mamma, papà, sorella e fratello. Hanno puntato la sveglia e dalle varie case sono arrivati – tipo processione, tipo grande evento – in quella dove siamo cresciuti tutti insieme…Anche i miei genitori, anche loro sono cresciuti insieme a noi figli; in modo diverso, certo, ma questa casa, lo giuro, ha visto l’evoluzione – totale o parziale – di tutti noi. C’è sempre la famiglia al completo quando parto (ed è una roba da spezzare il cuore). Son tutti lì a riconoscere i miei nodi. Ed è forse quello, il primissimo momento, in cui inizio a sciogliere.
Il mio cammino inizia sull’argine dietro casa mia. Il profumo di erba al mattino mi fa sentire preistorica, mi fa sentire la prima donna che cammina su un argine. Il profumo dell’erba tagliata mi fa sentire amata…amata dall’erba, voluta, sostenuta in questa partenza, accompagnata, per davvero, nei miei passi. Albeggia sulla terra che meglio conosco, sulla mia origine, sulla mia appartenenza. Già alle 8 di mattina il caldo è demonio. Bevo di continuo, ripercorrendo lo stesso tragitto che faceva la corriera al tempo del liceo. Tutta la bassa, da un campo all’altro mentre io morivo di sonno e inquietudine e non lo capivo, allora, il privilegio di vivere qui. Mi volevo cittadina. Volevo svegliarmi alle 7 45, non alle 6 00. Ma non avrei avuto il profumo dell’erba e non avrei mai potuto sentirmi preistorica.
Dopo Bianconese è Pontetaro, poi è Noceto e poi è un male atroce al ginocchio. Questo è un problema, mi dico. Questo è proprio un bel problema. Mi fermo sotto un albero e mi mangio il panino. Perché un panino non sarà una soluzione, ma resta comunque un’invenzione divina. Lo stomaco canta…e anch’io. La musica è di gran conforto. Sempre, no?
Ma il caldo, lo ammetto, è di una prepotenza inaudita, da far ammattire sul serio e il ginocchio non molla la presa manco per sogno e sembra ripetermi: e adesso? E adesso? E adesso? Oh. E adesso?
Adesso sono arrivata, bello mio. Medesano. Sono al limite, non potrei andare oltre anche volendo. All’ostello parrocchiale sono accolta con due tortelli dolci e succhi di frutta alla pera . Sono riconoscente, sono grata, sono affamata e assetata. Non ho chiesto nulla, ma loro l’hanno visto. E mi hanno esaudita senza che proferissi parola. E questa faccenda di perfetti sconosciuti che ti danno da mangiare – assolvendo un bisogno primario così legato al primario concetto di amore- sempre mi fulmina, sempre mi lascia secca.
La testa mi scoppia, causa sole, sono provata e preoccupata ma decido di fare una cosa: sospendo il giudizio.
Da qui, da Medesano, mi ricongiungo con la via Francigena. E c’è una notte di mezzo che dovrebbe portare consiglio, e io mi auguro che consigli al mio ginocchio di smetterla di fare le bizze che siamo appena all’inizio, per la miseria!
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